mercoledì 30 luglio 2014

7.

Sono passati mesi dall'ultima intervista, nel frattempo nel nostro paese Renzi continua ad ostentare sicurezza, l'Italia è uscita malamente dai mondiali di calcio e l'estate tarda ad arrivare. Citando il calciatore romano Daniele De Rossi dopo la magra figura della nazionale : "...dobbiamo ricordarci tutto e ripartire da uomini veri, non dalle figurine o dai personaggi...". A tal proposito ho deciso di ripartire con un'intervista telefonica a Lorenzo Moretti, chitarrista della band capitolina dei Giuda che, con il suo inconfondibile accento romano, si è reso gentilmente disponibile a rispondere a tutte le mie domande. Un abbraccio ragazzi e alla prossima intervista!


_Lorenzo Moretti è nato a Roma il 31 Gennaio del 1980.
E' stato il chitarrista dei Taxi e attualmente è chitarrista e produttore dei Giuda


Mr.LowProfile: Ciao Lorenzo, grazie per il tuo tempo, iniziamo con le domande e vediamo in quanto tempo riesco ad annoiarti. Quando hai iniziato a suonare la chitarra? Quali sono stati i primi gruppi che hai ascoltato e che ti hanno fatto innamorare della musica?

Lorenzo: E’ iniziato tutto nel più classico dei modi: avevo circa 8 anni e andai in vacanza dai miei zii in Toscana, mio cugino mi fece conoscere gli Iron Maiden e da lì è iniziata la passione per un certo tipo di musica. La folgorazione definitiva arrivò all’età di 11 anni quando sentii per la prima volta i Ramones … Li ascoltavo in continuazione, non riuscivo a  spiegarmi come potesse esistere una band così. A 12 anni formai il mio primo gruppo e da allora non mi sono mai fermato.

Mr.Lp: Parliamo degli esordi e della tua precedente band, i “Taxi” . Cosa vi ha spinto a suonare punk rock negli anni novanta e quali ascolti ti hanno influenzato a quei tempi?

Lorenzo: Io, Tenda e Danilo suoniamo insieme dal ’92. Inizialmente suonavamo pezzi dei Ramones e provavamo a comporre qualche pezzo nostro. I Taxi nascono circa nel ’97 e nella formazione originale c’erano sempre Danilo e Tenda. A quei tempi ascoltavamo molti gruppi minori punk rock inglesi, forse la scena anglosassone è quella che ci ha influenzato di più in quegli anni, più di quella americana.

Mr.Lp: Dalla periferia romana al mondo intero con i “Giuda”. Tuttavia si dice che tutte le strade portano a Roma … quanto sei legato al tuo territorio, musicalmente parlando, nonostante abbiate raggiunto notorietà grazie al mercato estero?

Lorenzo: Diciamo che è sempre un piacere suonare a Roma perché si ritrovano sempre amici di vecchia data. In una delle ultime date al Blackout poi, abbiamo suonato davanti a 700 persone e ci ha fatto un enorme piacere. Per il resto nulla di troppo imprescindibile.

Mr.Lp: Avete un luogo, un locale o una sala prove, alla quale siete particolarmente legati e che vi sentireste di definire un po’ come il vostro “quartier generale”?

Lorenzo: Si, in realtà più coi Taxi che con i Giuda. Ai tempi ci si trovava spesso nel quartiere di San Lorenzo, una zona di Roma che ora è un pochino decaduta ma che noi amavamo molto. Ci si trovava spesso in bar della zona a farsi qualche birra anche durante settimana. Sai, non si avevano troppi impegni allora! Adesso alcuni di noi hanno una famiglia e gli impegni sono aumentati, spesso siamo in giro per concerti nel week end e quindi durante settimana e nei giorni liberi siamo più propensi a stare con i nostri cari o con amici.

Mr.Lp: Clap di mani, chitarre fredde ultra distorte, voci corali. Il vostro sound richiama esplicitamente gli anni ‘70 e raccoglie tra gli estimatori un pubblico piuttosto eterogeneo. Qual è secondo te la formula vincente del contagioso successo dei Giuda?

Lorenzo: Effettivamente è vero, raccogliamo un pubblico piuttosto eterogeneo. Ci è capitato per esempio di suonare in Germania in  diversi festival davanti ad un pubblico composto quasi interamente da skinheads e punk. Il prossimo Agosto, invece, saremo al Frequency in Austria, dove suoneremo sullo stesso palco di gruppi come Queens of the stone age, Placebo ecc…  Suoniamo un r’n’r diretto e divertente, non estremo, che è godibile anche da chi non ascolta musica di genere. Questo è sicuramente uno dei nostri punti di forza come lo è sicuramente l’immaginario che abbiamo creato con le nostre grafiche e il nostro stile musicale. Ecco probabilmente è questo che ci caratterizza maggiormente e ci stacca un pochino dal panorama underground.

Mr.Lp: Siete stati elogiati all’estero da riviste come “Mojo” e “Rolling Stone” e da personaggi del calibro di Phil KIng (Jesus and Mary Chain/Lush), Robin Wills (Barracudas), Kim Fowley, Tony Barber (Buzzcocks), Tesco Vee (Meatmen), Tony Sylvester (Turbonegro). Indubbiamente i complimenti fanno piacere a tutti, soprattutto se sinceri e meritati come nel vostro caso. Qual è stata la soddisfazione più grossa che ti sei tolto ad oggi durante la tua carriera da musicista?

Lorenzo: Onestamente se devo pensare alla soddisfazione più grossa che mi sono tolto è che finalmente posso vivere quasi esclusivamente di musica e in un momento di crisi come questo il poter vivere della propria passione, suonando e andando in tour, è una soddisfazione immensa. Fino a due anni fa non lo avrei mai pensato, voglio dire, ho una casa in affitto che condivido con altre persone e ho ancora  qualche problemuccio ad arrivare alla fine del mese, ma poter avere uno stipendio dalla mia attività musicale è sicuramente la soddisfazione più grossa.

Mr.Lp: Nell’ultimo anno siete stati in tour in Italia, Europa e negli Sati Uniti. Quale nazione vi ha accolto con più calore e quale data del tour ricordi con più piacere?

Lorenzo: Credo che la Francia sia la nazione nella quale ci sentiamo più a casa … le date che ricordo con più piacere tuttavia sono probabilmente quelle di Londra, finite tutte sold out: l’ultima al Barfly è stata incredibile, Il pubblico cantava tutti i nostri pezzi e sembrava conoscerci da sempre. E’ stato veramente emozionante.

Mr.Lp: Cosa vi piace fare nei day off in tournè e quali sono le vostre passioni comuni all’infuori della musica?

Lorenzo: Dipende, quando siamo stati negli Stati Uniti abbiamo sfruttato il tempo libero per fare i turisti. Siamo stati alle cascate del Niagara e a visitare altri posti in versione veramente vacanziera e rilassata. Poi me ne tornano in mente altri, tipo quella volta in Francia in cui, arrivando dal clima romano di fine Settembre, siamo stati catapultati nel freddo colossale della Bretagna e abbiamo passato un day off in albergo a riprenderci dal freddo, mangiando formaggi francesi, bevendo vino e vedendo la partita di campionato della Roma.

Mr.Lp: Perché secondo te alcune band italiane come voi che cantano in lingua inglese hanno più difficoltà nell’essere recepite nel nostro paese rispetto al resto d’Europa? Voglio dire, la maggior parte dei miei gruppi r’n’r preferiti sono svedesi (vedi Hellacopters, Turbonegro, Gluecifers, International noise conspiracy, ecc…) eppure hanno avuto un buon seguito anche in patria…

Lorenzo: Storicamente in Italia il rock di un certo tipo ha sempre attecchito poco, se ci pensi anche negli anni settanta il rock che era più apprezzato era quello dei gruppi tecnici e colti, il progressive dei Genesis e compagnia bella, siamo stati sempre abbastanza snob da questo punto di vista. All’estero c’è sicuramente una cultura rock and roll maggiore, anche solo in Francia o in Spagna, il pubblico è più preparato a recepire un certo tipo di sound.  

Mr.Lp: Quindi tu credi sia una cosa più dovuta alla cultura che alla lingua…

Lorenzo: Io credo di si, voglio dire, il rock and roll e il punk non hanno mai avuto larga diffusione nel nostro paese quando in paesi come la Svezia che citavi prima è praticamente una parte della propria economia. Se non si è abituati ad ascoltare certe cose … insomma, qui abbiamo avuto un movimento di nicchia legato a pochi gruppi come i Decibel ecc … mentre a pochi chilometri da noi in Jugoslavia, esisteva un vero e proprio movimento e un’ etichetta di stato come la Jugoton che ha prodotto e stampato fior fiori di gruppi punk molto più fighi e mooolto più importanti di quello che sono stati i nostri gruppi italiani di riferimento.

Mr.Lp: Mi hai detto che siete attualmente in studio a registrare, puoi darci qualche anticipazione?

Lorenzo: Abbiamo cominciato a scrivere i pezzi per il nuovo album, in realtà sono ancora un po’ pochini, tre, tre e mezzo, diciamo che il quarto è ancora in fase di completamento. Stiamo facendo delle preproduzioni per testare una macchina a nastro che abbiamo comprato, 24 piste su 2 pollici, che ci permetterà di produrre tutto da soli senza appoggiarci ad altri studi e allontanarci da Roma. Faremo tutto da noi, in casa, in maniera molto più rilassata, è la grande novità del 2014 dei Giuda. Il disco sarà prodotto sempre da me e dal nostro sound engineer Danilo Silvestri, ma non vedrà la luce prima del 2015. 

Mr.Lp: Come ti immagini a 60 anni?

Lorenzo: Intanto spero di arrivarci, poi visto che non mi vedo a suonare ancora “Wild tiger woman” a 60 anni, spero di piazzare una bella hit prima di allora in modo da poter campare tranquillo per il resto dei miei giorni.

Mr.Lp: Non posso fare altro che augurartelo!







lunedì 31 marzo 2014

6.

E’ tanto tempo che non pubblico qualcosa. La vita è stata cattiva con me in questi mesi e in più un paio di persone mi hanno dato buca (‘ci loro..) facendomi ritardare ulteriormente il tutto. La notizia interessante comunque non è il mio di ritorno, ma quello degli Zu, che proprio mentre sto scrivendo pubblicano il loro nuovo Ep. Parliamone con Luca T.Mai, sax baritono e membro fondatore della band. 


_Luca T.Mai è nato a Bergamo il 16 Novembre1968



Mr.LowProfile: Ciao Luca, grazie per l’intervista! È un piacere poterti conoscere meglio. Ti conosco principalmente come sassofonista degli Zu e dei Mombu, con loro hai un modo di suonare molto “noise” e spesso emetti note gravi con il tuo sax che ricordano le distorsioni urlanti delle chitarre. Non conoscendoti di persona non saprei veramente immaginare quali possano essere stati gli ascolti musicali che ti hanno più emozionato da ragazzino, il jazz o i Napalm Death? John Coltrane o i No Means No? Veramente non me la sentirei di ipotizzare alcun nome. Ci racconti quali sono stati i tuoi eroi musicali di gioventù e quali i gruppi che invece ascolti più volentieri in questo momento?

Luca: Ciao MLP. Tutti i nomi che hai citato fanno parte del mio bagaglio di ascolti assidui. La passione musicale da che mi ricordi c'è da quando sono imberbe. La scintilla è avvenuta con i Police, ma coloro che hanno innescato la bomba sono stati gli Ac/Dc. Da li tutto e solo Heavy Metal. Quando gli orizzonti del Metal mi sembravano angusti ho cominciato ad ascoltare di tutto e posso dire che attualmente una mia giornata tipo prevede: risveglio con i Cannibal Corpse, pranzo con Lee Scratch Perry e a letto con Lauryn Hill, solo musicalmente parlando :-)

Mr.Lp: Come mai hai deciso di suonare il sassofono invece di una bella chitarrona con un distorsore gigante o un bel basso monocorda? Come ti sei avvicinato al tuo strumento?

Luca: Ho iniziato a suonare tardi e in quel periodo ero appassionato di jazz e in particolare di Coltrane e Dolphy tant'è che volevo iniziare a suonare il clarinetto basso. Poi in un negozio di musica cominciai a parlare con il sassofonista baritonista dell'orchestra della Rai che mi fece un discorso di due ore sulla bellezza del sax e di quanto fosse importante fare musica nella vita. Ora suono solo il sax baritono e a volte mi chiedo quanto quella conversazione abbia influito sulla scelta di questo strumento.

Mr.Lp: Nel 1997 nascono gli Zu. Come vi siete conosciuti tu Jacopo e Massimo e da cosa deriva il nome del gruppo?

Luca: Io e Massimo ci siamo conosciuti davanti ai cancelli dell'allora Teatro Tenda alle 9 del mattino per conquistare le prime file per il concerto dei Saxon. Da li in poi è nata una fratellanza che ancora oggi ci unisce. Qualche anno dopo Massimo venne a sapere che avevo iniziato a suonare il sax e così lo disse a Jacopo e a Tiziana Lo Conte, che allora erano nei Gronge, per un provino. Così iniziammo e dopo la defezione di Tiziana ci chiudemmo in cantina per due anni tutti i giorni per sei, otto ore al giorno. Il nome Zu deriva appunto da questa esperienza, difatti Zu in tedesco significa chiuso.

Mr.Lp: La musica degli Zu è stata definita dalla stampa musicale “jazzcore”. Tu come la definiresti?

Luca: Iniziammo noi a definirla cosi, ma è solo un termine che serve alla stampa e, allora, ai negozi di dischi. Anche con Mombu definisco la nostra musica Afro Grind, ma al di là di tutto è una specie di gioco. Ti posso dire che per me la musica è un mezzo e al contempo una disciplina per il corpo, la mente e lo spirito.

Mr.Lp: La vostra natura collaborativa è leggendaria ed ha sempre come risultato qualcosa di nuovo per il sound Zu. Sono state molte le collaborazioni con l’estero e gli Stati Uniti in particolare: Eugene Chadbourne, Amy Denio, Steve Albini (con cui hanno registrato “Igneo” nel suo studio di Chicago), Ken Vandemark, Mike Patton e Buzz Osborne solo per citarne alcuni. Pare abbiate trovato una seconda casa negli States insomma, come sono nate queste amicizie?

Luca: Dice bene; collaborazione nate da amicizie e stima reciproca. Nessun intento di gratificarsi con queste relazioni e nessuna idea di trarci  profitto personale.

Mr.Lp: Hai fatto centinaia di concerti all’estero, Stati Uniti ed Europa compresa, qual è stata l’esperienza live all’infuori dello stivale più esaltante della tua carriera da musicista?

Luca: Credo che l'apice l'abbiamo raggiunto con Zu all'ATP nel 2010.

Mr.Lp: E’ famosa sul web una introduzione di Danny De Vito ad un vostro concerto del 2008 con Mike Patton a Roma. Che occasione era? Ci racconti qualche retroscena di quella serata?

Luca: Danny De Vito ci salvò dal linciaggio del pubblico romano. Ci dilungammo senza pensarci al ristorante dove Mike invitò Danny  che stava girando un film a Roma. Quando il promoter ci venne a prelevare, entrando nel locale vedemmo, ma soprattutto sentimmo, che la gente era inferocita da quasi due ore di attesa. Danny si offerse di presentare la serata e il pubblico lo riconobbe: ci fu un boato e la serata fu salva.

Mr.Lp: Ormai è ufficiale il ritorno degli Zu ad Aprile 2014, l’unica amarezza è rappresentata dal fatto che non ci sarà più Jacopo Battaglia alla batteria… L’edulcorante tuttavia risponde al nome di Gabe Serbian il granitico batterista dei californiani the Locust. Come vi siete trovati ad avere lui alle pelli per il nuovo Ep?

Luca: Nel 2011 provammo un sacco di batteristi tra cui Gabe. Ci conoscemmo all'ATP e umanamente rimanemmo amici tanto che lo chiamammo per una prova con noi dopo che Jacopo se ne andò. I tempi non erano maturi, visto che come Zu abbiamo sempre agito in maniera lenta, ma  soprattutto dovevamo metabolizzare il fatto della defezione di Jacopo. Gabe è una persona molto tranquilla e questo è una caratteristica che apprezziamo molto. So che gli Zu hanno rappresentato e rappresentano qualcosa per i fans che va oltre l'attaccamento e quindi il fatto che non ci sia più Jacopo ma Gabe è vissuto con attesa, un misto di confronto e curiosità, ma abbiamo sempre lo stesso spirito, cambierà solo la pronuncia con cui verrà espresso.

Mr.Lp: Carboniferous è il mio disco preferito degli Zu. Forse è una scelta impopolare per i fans di vecchia data, ma ogni vostra evoluzione mi è sempre sembrata migliore della precedente o quantomeno naturale. Come si sta sviluppando il suono dei nuovi Zu con Gabe? Avete in serbo altre sorprese?

Luca: Al primo tour di presentazione di Carboniferous venne un ragazzo dopo il concerto e mi disse che il suo disco preferito era Bromio, una bella soddisfazione dopo anni di lavoro :-). Il nuovo ep è secondo me un compendio di 10 anni di Zu ma con un altro aspetto ritmico. Con Gabe ci vedremo tra Giugno e Luglio dove inizieremo a lavorare per il disco nuovo. Non so cosa ne uscirà, ma sicuramente ci saranno delle sorprese anche per noi.

Mr.Lp: Solitamente, a questo punto dell’intervista, chiedo un consiglio per un ragazzo che ha una band, nel tuo caso mi sento di consigliare al posto tuo perseveranza, sudore e passione per il proprio lavoro… altro da aggiungere?

Luca: Hai detto bene ma faccio  giusto una piccola appendice: si sceglie sempre tra due strade, pure per bere un bicchiere d'acqua, a volte consapevolmente altre no, ma siamo sempre di fronte a una scelta da fare che ci responsabilizza e che decide poi delle nostre vite. Nel caso delle nostre vite nella musica  la scelta è tra una via che definisco oscura, più dritta e facile, ma che appaga solo l'ego e nutre l'ombra. La seconda è più dura e tortuosa ma  alimenta lo spirito e di sicuro rimani con la coscienza pulita. Quindi mi sento di dire di fare delle scelte consapevoli, di modo che  qualsiasi decisione sia di propria responsabilità e non di qualcun altro.

Mr.Lp: Mentre scrivevo questa intervista stavo pensando che gli Zu sono per loro natura una band da vivere live sui palchi e di conseguenza praticamente immune alla crisi del mercato discografico. Quanto la vostra intensa attività live ha contribuito al successo e alla longevità della band secondo te?

Luca: Abbiamo sempre prediletto l'attività live. Sui palchi impari un sacco di cose su come funziona un brano, affini il suono e passi tanto altro sia a chi sta sul palco con te sia a chi è di fronte a te.

Mr.Lp: E per noi amanti degli stornelli romani d’oggi e di ieri niente in vista sul fronte Ardecore?

Luca: Ardecore è oramai un'attività di Giampaolo Felici. Siamo usciti da quell' esperienza appunto perchè l'ego personale ha prevalso sulla collaborazione collettiva.

Mr.Lp: E anche per te l’immancabile domandone finale, come ti immagini a 60 anni?

Luca: Azz … da giovane mi chiedevo dove sarei stato a quaranta. A quaranta meglio non chiedersi dove starò a sessanta.




venerdì 13 dicembre 2013

5.

Da bambino la mia prima musicassetta è stata una compilation dei Beach Boys regalatami dal mio fratellone Davide. Da adolescente mi sono avvicinato al rock e al grunge di Nirvana e Sonic Youth e, poco dopo, grazie al mio caro amico Badger ho scoperto il punk rock e i suoi derivati. Ascoltavo già Beastie Boys e Gorilla Biscuits perché un amico con cui skatavo li ascoltava a ripetizione per darsi il kick necessario, ma Badger mi ha iniziato ad un mondo più ampio, fatto di sottogeneri e di differenze profonde, apparentemente inaspettate per un tipo di musica immediato e per certi versi di semplice ascolto. E’ stato grazie a lui che ho ascoltato per la prima volta anche i nostri spezzini the Manges. La prima canzone è stata “She’s a punk”, me la ricordo bene perché la prima strofa della canzone recita : “All Star, t-shirt of the Manges…” e questo ha fatto sì che il loro nome restasse sin da subito impresso nella mia mente insieme al loro sound, così punk rock ed esterofilo per quei tempi. Qualche settimana fa Badger mi chiama al telefono e mi dice: “Hey  hai visto che figata il giorno di natale??”, tra me e me ho pensato che si riferisse alla solita replica di “Una poltrona per due” o de “Le 12 fatiche di Asterix” che tutto sommato continuano a darci soddisfazione, nonostante l’avvicinarsi agli “anta”, ma mi sbagliavo.  Si riferiva ad un concerto, al concerto natalizio dei Manges ovviamente. Come ho fatto a non pensarci prima ?!? Sto pur sempre parlando con un integralista del punk rock come Badger; … Beh il mio caro amico non sapeva di avere appena vinto un’ intervista alla voce di uno dei suoi gruppi preferiti, Andrea, per parlare di lui e di questo fantastico evento che sicuramente merita spazio nel nostro primissimo specialone natalizio…buone feste a tutti!


Andrea "Manges" Caredda è nato a La Spezia il 21 Settembre 1974,  

è il cantante/chitarrista dei the Manges dal 1993,

chitarrista dei Danny's Wednesday nel 1998/99,

cantante dei Veterans dal 1961 :), 

è un produttore musicale e gestisce la produzione Striped dal 2012.







Badger: Ciao Andrea, suoni da sempre coi Manges, quando vi siete conosciuti e come avete mosso i primi passi nell’ambiente musicale spezzino? 

Andrea: Ciao! Mass (basso) e Manuel (batteria) cercavano qualcuno per fondare un gruppo punk rock, all'epoca facevano tutti metal e c'era il "grunge". Mi hanno chiamato perchè mi avevano visto in giro con magliette dei Ramones. Nessun altro motivo, che io sappia. Era il 1993, avevamo tra i 16 e i 18 anni, abbastanza tardi per iniziare da zero, molto appassionati di musica, ma ignari di alcune cose, ad esempio che basso e chitarra dovessero suonare i pezzi nella stessa tonalità. La scena musicale a Spezia (provincia piuttosto isolata dal resto d'Italia all'epoca) era completamente addormentata; quando abbiamo suonato le prime volte eravamo scarsi a livello imbarazzante ma completamente diversi dagli altri gruppi della zona... per cui si è creato un certo interesse da subito intorno a noi. Poco dopo è esploso il pop punk (1994-95) e gruppi come il nostro in tutta Italia hanno invaso la scena Do It Yourself e tra scambi di date, fanzine e autoproduzioni son volati via gli anni 90.

Badger: Cosa significa “the Manges” e che origini ha il nome della band?

Andrea: Abbiamo scelto il nome perchè volevamo assolutamente il THE davanti e la S finale. "Mange" vuol dire scabbia. Manges, le "rogne", dice il traduttore online. Manges è un cognome, diffuso negli Usa. Nei primi 6 mesi avevamo trovato una cantante quindi in realtà siamo nati come Annie And The Manges. 

Badger: Avete debuttato alla Skaletta e il club è cresciuto con voi. Viene spesso citato come quartier generale nelle vostre interviste ed è entrato nell’immaginario collettivo dei punkrockers italiani e non. Sembra che per voi sia qualcosa di più di un semplice locale. Quanto ha influenzato la vostra musica e che ruolo ha avuto nella storia della band? 

Andrea: La Skaletta è nata dopo, nel 1994, e noi siamo stati il primo gruppo a suonare lì. Tanti dei nostri primi concerti li abbiamo fatti aprendo per un gruppo hard rock di nostri amici. Erano stati chiamati alla Skaletta che aveva aperto da poco; si suonò all'aperto nello spiazzo nel retro del club. Mentre suonavamo qualcuno ha chiamato la polizia che ha fermato tutto così l'altro gruppo non ha potuto suonare. Da lì in poi abbiamo frequentato il posto sempre più assiduamente, e il collettivo dei "grandi" ci ha dato sempre più spazio. Dopo qualche anno il locale aveva già un calendario punk rock di tutto rispetto. Alla Skaletta, dietro il banco, ci abbiamo lavorato un po' tutti noi Manges, anch’ io per due anni sono stato tra i gestori. Rimane il più bel lavoro che ho fatto in vita mia. Federica, Daria, Diego sono nostri grandi amici e la storia della Skaletta e quella dei Manges credo andranno sempre raccontate insieme.

Badger: In questi anni avete suonato in tutta Italia, in molti paesi europei, negli Stati Uniti e ultimamente anche in Giappone. Che differenze ti è parso di notare tra i punkrockers dei tre continenti? Pensi che tutto il mondo sia paese approcciandosi alla vostra musica o hai notato delle differenze culturali anche tra il pubblico dei vostri concerti?

Andrea: La nostra scena, essendo fortemente caratterizzata e basata sulla ripetizione di canoni ben precisi, è abbastanza uguale un po' dappertutto. Ovvio che in America sembra tutto più spontaneo e "cool". Ci sono tutti i nostri gruppi preferiti ed è il paese dove preferiamo viaggiare. In Europa la scena punk ha comunque radici profonde e girare ti dà sempre la sensazione di incontrare vecchi amici, anche in posti dove non eri mai stato prima. Il Giappone è stato una bellissima scoperta per via delle barriere culturali enormi; giapponesi che ascoltano il nostro genere per compensare sono diventati i più inquadrati e fissati di tutti, campioni di stile!

Badger: Avete diviso il palco con leggende del punk rock mondiale come Screeching Weasel, the Queers, Mr.T Experience, Kepi Ghoulie, Rocket from the crypt, Bad Religion, solo per citarne alcuni. Con chi vi siete trovati particolarmente in sintonia? Puoi raccontarci qualche aneddoto a riguardo? Esiste un gruppo con cui non hai ancora suonato e con cui avresti il piacere di condividere il palco?

Andrea: Con i Queers abbiamo fatto moltissimi tour. Siamo legati a loro e agli Screeching Weasel da una profonda amicizia. Sicuramente aprire concerti di CJ Ramone è stata la più grande soddisfazione, ma anche di Marky, già 13 anni fa. I concerti con i Bad Religion e Anti-Flag sono stati tra quelli con più pubblico  e loro sono stati molto gentili, ma non abbiamo un rapporto stretto con loro. Ho aperto concerti di tutti i miei gruppi preferiti, Screeching Weasel, Riverdales, Queers, MrT, Chixdiggit... Purtroppo siamo arrivati tardi per poter avere l'occasione di fare da spalla ai Ramones. Ma ho avuto almeno la fortuna di vederli varie volte e pure di farmi le canne con Dee Dee!

Badger: Quest’anno festeggerete i primi vent’anni dei Manges. Per l’occasione avete voluto fare un eccezionale regalo di natale ai vostri fans organizzando un concerto gratuito alla Skaletta proprio il giorno di Natale. Sul palco vedremo molti dei musicisti che negli anni hanno suonato con voi tra cui anche John Jughead Pierson dagli States. Puoi raccontarci com’ è nata quest’idea e darci qualche anticipazione su quello che per me è l’evento dell’anno? C’è qualche speranza di vedere qualche presenza femminile sul palco, tipo Anna o Kitty? 

Andrea: No beh nessun "regalo di Natale"... A Spezia suoniamo da diversi anni solo alla Skaletta e l'ingresso, con noi, è sempre stato gratuito. In occasione dei 20 anni faremo tornare sul palco tutti i membri passati della band, del resto siamo in ottimi rapporti con ognuno di loro. Manuel, Mass ed io siamo sempre il nucleo originale. Oggi alla chitarra abbiamo Mayo, ma intorno a noi c'è un gruppo di suonatori, amici, roadies, che si sono alternati durante gli anni in vari ruoli, che hanno viaggiato con noi e con cui ci troviamo sempre con piacere. Anna l'abbiamo persa di vista subito, che io sappia ha tre figli, so che di recente le hanno parlato di noi e non aveva idea di cosa facessimo. Dagli Stati Uniti abbiamo fatto venire John Jughead degli Screeching Weasel, grande amico che ha fatto varie apparizioni con noi e un intero tour USA nel 2002 come chitarrista dei Manges.

Badger: Con i Veterans, il tuo progetto parallelo, hai da poco pubblicato due 7’’ tramite la piattaforma di crowdfunding musicraiser. Ultimamente ho notato che anche gruppi ormai affermati che probabilmente potrebbero avere un disco prodotto da una casa discografica si appoggiano economicamente ai loro fans. Cosa ne pensi di questo nuovo modo di finanziare la musica? 

Andrea: Nel mio caso nessuna "casa discografica" nell'aria, i Veterans sono un divertimento, mi ci impegno molto ma sono, se possibile, ancora meno conosciuti dei Manges. Inoltre non facciamo concerti per cui figurati.. ho pensato che sarebbe stato bello far nascere il progetto direttamente insieme a chi voleva sostenerlo, senza nessuno che mediasse. E' stato bello avere la fiducia di tanta gente che spende in anticipo per le tue canzoni senza averle sentite, e condivide la tua stessa impazienza di avere il nuovo disco tra le mani! Ma tutto il processo è un po' stressante. Mettersi al centro dell'attenzione e dire: finanziatemi! 

Badger: Da quello che ne so fare musica non è il vostro unico lavoro. Com’è possibile che siate considerati uno dei gruppi più importanti per quanto riguarda il punk rock mondiale e non possiate campare di sola musica? E’ solo una questione di nazionalità o è stata per certi versi una vostra scelta? 

Andrea: La nostra scena è una nicchia ben definita all'interno del "punk". Il nostro pubblico non è abbastanza grande, il mercato è cambiato e nessuno vende più molti dischi. Non potremmo reggere se non girando come trottole e facendo concerti ininterrottamente. Negli anni 90 e oltre facevamo lavoretti, ci licenziavamo per andare in tour, poi tornavamo, finivamo i pochi soldi, se c'erano, cercavamo altri lavoretti... abbiamo anche abitato per un po' tutti insieme a Londra. Ma abbiamo preferito fare quello che ci andava senza impegnarci particolarmente nell'ottenere consenso o suonare come i pro. Ci piaceva la vita da punkrockers e non abbiamo fatto calcoli per avere più pubblico. Anzi, a volte abbiamo fatto il contrario apposta.

Badger: Siete stati da poco in studio a preparare il nuovo album a Brescia, puoi darci qualche anticipazione? Chi lo produrrà questa volta?

Andrea: Abbiamo già fatto i primi giorni di registrazioni al TUP Studio di Brescia, ma il disco nuovo sarà terminato nel 2014 e uscirà in primavera. Il produttore "artistico" è Hervè dei Peawees, ex membro dei Manges e nostro amico da 20 anni. Siamo molto contenti. Non vediamo l'ora che esca il disco e di suonare le nuove canzoni dal vivo. Pare anche che incideremo qualche accordo in minore … Hervè ci ha spiegato cosa sono ma non saprei ripeterlo.

Badger: In questi anni hai visto esplodere il punk rock in Italia per poi vederlo implodere diventando di moda e poi fuori moda. Ti è mai passata la voglia di suonare? E’ cambiato qualcosa nel pubblico ai vostri concerti?

Andrea: La voglia non è mi mai passata. Il pubblico è cambiato però. Non ci sono più ragazzini giovani nella scena, e fare punk rock non è più anticonformista o nuovo. E' un genere che sta assumendo le caratteristiche, ad esempio, del Rockabilly: riproduzione di musiche, look, estetica, cultura che non esistono più, se non nella loro rappresentazione "teatralizzata". Pura nostalgia. Roba del secolo scorso. A me va bene così, mi piace la musica del secolo scorso.

Badger: Eccoci alla domanda imposta dal Jonah J.Jameson di questo blog (Mr.Low Profile), come ti vedi a 60 anni?

Andrea: Intanto spero di esserci, e di avere gli stessi punti fermi di oggi: la vita con mia moglie, piena di viaggi e musica. Probabilmente sarò ancora attivo in campo musicale o creativo, con chi mi vorrà dare retta. Per quanto riguarda i Manges, loro sono i miei migliori amici e anche quello è il motivo per cui siamo durati 20 anni e non so quando ci fermeremo. 




THE MANGES: http://www.manges.it/ 
STRIPED PUNK ROCK: http://striped.bigcartel.com/ 

bad juju videoclip: 

mercoledì 9 ottobre 2013

4.

Chi di noi non ha mai avuto un gruppo al liceo col quale ha sognato di diventare una rockstar? Chi, da ragazzino, suonando la chitarra nella sua cameretta, non ha immaginato di essere davanti a migliaia di persone che cantano a squarciagola le proprie canzoni? Chi non ha mai provato ammirazione e simpatia per chi, arrivato all’apice della carriera, decide di rimettersi in gioco e ricominciare da capo? Chi non ha mai sognato di scalare una hit parade? Beh, lui è riuscito a fare tutto questo, con dignità, professionalità e, soprattutto, rimanendo sempre se stesso … e fidatevi non è affatto una cosa scontata. Oggi parliamo con Diego Galeri, la sua storia sembra fatta apposta per questo blog ed io ho una gran voglia di conoscerla …


Diego Galeri è un musicista e produttore musicale nato a Brescia nel 1968 e ad oggi è stato:

Membro fondatore e batterista dei Timoria dal 1985 al 2002 (coi quali vince due dischi d’oro per “Viaggio senza vento” e “2020 Speedball”),

Batterista dei Miura dal 2002 al 2012,

Batterista degli Adam Carpet dal 2012 ad oggi,

Sul finire del 2007 Diego fonda la “Prismopaco Records” con la quale ricopre anche le vesti di produttore.


Mr.LowProfile: Ciao Diego, è un piacere poterti intervistare. La prima domanda riguarda i tuoi primissimi amori musicali. A che età hai iniziato a suonare il tuo primo strumento e quali gruppi musicali ti hanno fatto venir voglia di farlo?

Diego: Ho iniziato a suonare la chitarra classica intorno ai 10anni per poi passare alla batteria dopo un paio d'anni… Non penso ci siano state bands che mi abbiano fatto venir voglia di suonare, è sempre stata una forte pulsione. La musica mi ha sempre trasmesso emozioni a prescindere dal genere. Le prime bands che ho ascoltato tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80 hanno sicuramente influenzato il mio percorso artistico e il mio gusto/stile musicale, ma sono molto curioso e continuo a cercare e scoprire cose nuove, amo ricevere ogni giorno inputs dalla musica che ascolto.

Mr.Lp: Ci racconti brevemente com’era la scena musicale bresciana e italiana dei tuoi esordi?

Diego: Brescia ha sempre avuto un’ottima tradizione di musicisti. In Italia gli anni 80 sono stati anni di grande fermento ed energie poi sfociate nel periodo aureo degli anni 90 in cui la musica rock ha dato forse il meglio di sé. La scena era fortemente sostenuta da media e case discografiche, gli artisti avevano i mezzi per esprimersi e il pubblico era attento e coinvolto. Poi però le cose sono cambiate radicalmente, forse per i tanti sprechi o per scelte sbagliate o, semplicemente, perché si sono esaurite le energie!

Mr.Lp: Come sei arrivato alla fondazione dei Timoria e quali erano le tue influenze musicali in quegli anni? Avreste mai pensato di diventare una delle band di riferimento del rock italiano degli anni novanta?

Diego: I Timoria non sono stati una mia idea. Io ne sono stato fondatore perché unico batterista dagli esordi e, in quanto tale, mi sono sempre reputato un quinto dell'intero.  L'idea della band è stata di Omar. Abbiamo iniziato a suonare assieme all'epoca del liceo, per passione e amore per la musica. Ci siamo conosciuti ad un concorso musicale per istituti superiori, ognuno suonava con la propria band e l'anno successivo ci siamo messi assieme e iscritti al concorso con il nome Precious Time. L'abbiamo vinto e da li per quasi vent'anni abbiamo condiviso un’esperienza unica.
Di sicuro allora non pensavamo che saremmo diventati una delle band di riferimento del rock italiano degli anni novanta ma la determinazione e convinzione di essere "diversi" e in qualche modo unici ci ha sempre spinti oltre. Le sinergie all'interno della band erano molto forti e questo è stato percepito dal pubblico sin dall’inizio. Poi un po' di fortuna, tanto lavoro, tanti sacrifici e molta buona musica ci hanno portato a raggiungere traguardi inaspettati.

Mr.Lp: Sempre con i Timoria hai partecipato per ben 2 volte al festival di Sanremo, puoi raccontarci i retroscena e come hai vissuto quell’esperienza? E’ veramente “il male” della musica italiana come molti puristi del panorama indipendente affermano?

Diego: Sanremo non è il male, Sanremo è quello che è, così come lo si vede. Fondamentalmente è una trasmissione televisiva che ti dà una visibilità incredibile, sta all'artista riuscire a sfruttarlo al meglio. C'è chi ci è riuscito alla grande e chi no. Per i Timoria fu un'esperienza decisamente positiva nel 1991 quando vincemmo il premio della critica e il grande pubblico non ci conosceva ancora. Fu un momento di rottura per gli standard del Festival. La seconda volta invece nel 2002 a mio avviso fu più un male che un bene… col senno di poi non avevamo bisogno di quel tipo di esposizione. Non andò come avremmo voluto anche se quell'anno suonare con l'orchestra fu davvero un’esperienza incredibile.

Mr.Lp: Nel 2002 si sciolgono i Timoria, di lì a poco nascono i Miura. Com’è stato il passaggio dal suonare in una band famosa prodotta da una major ad una indipendente?

Diego: E' stato per certi versi liberatorio, uscire dalle “costrizioni” che una band come i Timoria ci imponeva, sicuramente mi ha permesso di pensare di più alla musica. Certo, ricominciare da capo non è mai facile, ma i tre dischi con i Miura sono stati un’esperienza molto importante per tanti aspetti della mia vita.

Mr.Lp: Attualmente suoni negli Adam Carpet, un progetto di musica strumentale molto interessante che prevede nella formazione ben 2 batterie. Vuoi parlarci di com’ è nata questa collaborazione e di questa doppia sezione ritmica?

Diego: E' un progetto nato dall'idea di provare a scardinare un po' gli standard con una formazione atipica nella quale gli strumenti interagiscono in maniera inusuale. La doppia sezione ritmica ci ha permesso di sperimentare molto sul suono e sulle strutture ritmico/armoniche dei brani; non essendoci poi vocals la libertà di espressione è stata massima. I musicisti con cui suono sono straordinari e il progetto artistico mi coinvolge e rappresenta al cento per cento il mio presente… e mi piace!

Mr.Lp: Siamo tutti al corrente dell’attuale crisi del mercato discografico. Considerando la tua esperienza, credi ci potessero essere più possibilità negli anni ’90 o che sia semplicemente cambiato il modo di fruire e promuovere la musica?

Diego: E’ certamente cambiato il modo di fruire la musica oggi. Rispetto agli anni 90 è ancora più ascoltata e presente, la proposta è infinita ma il pubblico si approccia alla musica in maniera diversa, forse con meno profondità e passione. E’ tutto molto veloce… la musica digitale è sicuramente il futuro, in particolare lo streaming, ma resta ancora da capire come monetizzare e come creare il flusso di denaro sufficiente per sostentare gli artisti e tutti quelli che di musica vogliono vivere. I concerti credo siano ancora l'unico aspetto che è rimasto inalterato nel tempo ma non suscitano più nell'utente lo stesso interesse di 20 anni fa.

Mr.Lp: Nella tua esperienza di musicista, qual è stata la data o il tour che ricordi con più piacere? Quale con meno? Raccontaci le due esperienze.

Diego: Difficile sceglierne uno ma tra i migliori, sicuramente il concerto dei Timoria a Sonoria nel 2004 e a Imola all'Heineken Jammin' Festival nel 2002…la presentazione di 3 dei Miura alla Casa139 e la prima data in assoluto di Adam Carpet al Factory a Milano.
Il tour che ricordo sicuramente con meno piacere è stato l'ultimo con i Timoria nel 2003.
  
Mr.Lp: Cosa ti sentiresti di consigliare ad un ragazzo che decide oggi di formare una band?

Diego: Oggi, oltre a scrivere della buona musica, serve più che mai una buona dose di entusiasmo, do it yourself e tanta creatività, soprattutto nella comunicazione. Il mezzo più comunicativo oggi è sicuramente il web ma è velocissimo, inflazionato e dispersivo. Per farsi notare e attirare l'attenzione serve originalità e creatività, ripeto, al di là della musica che comunque resta la cosa più importante.

Mr.Lp: Oltre alla passione, cosa ti fa continuare a suonare e produrre musica nel 2013?

Diego: E’ la mia vita, non so fare altro, o meglio, la musica è ciò che mi riesce meglio fare, senza dubbio!

Mr.Lp: Tormentone finale, come ti vedi a 60 anni?

Diego: Con qualche capello bianco in più ma con lo stessa indomita passione, magari dall'altra parte del vetro in veste di producer… è una dimensione che ho già sperimentato e non mi dispiace affatto.



ADAM CARPET: www.adamcarpet.com
PRISMOPACO RECORDS: http://www.prismopaco.com/











lunedì 2 settembre 2013

3.

L' estate è quasi finita e sto per essere riassorbito dal vortice della mia città. Mi prendo qualche minuto tra una partita di campionato di calcio e l'altra per riordinare idee, propositi per la mia nuova vita e leggere le risposte arrivate di recente da Sandro dei Forty Winks... E' da quando ho ascoltato per la prima volta il loro disco omonimo, uscito nel 2005, che canzoni come “Knockout” e “the Receiver” sono sempre nella mia playlist. Uno di quei dischi che rimarrà per sempre nella colonna sonora dei miei ricordi, insomma. 
Ora ripongo il violino da fan dei FW nella sua custodia, leggiamole insieme... 


_Sandro Amabili è nato a Bologna il 4 Giugno 1980.

Mr.Lowprofile: Ciao Sandro, la prima domanda è sempre riferita alle origini (come suggeriscono gli ultimi sceneggiatori dei film Marvel). Quando hai iniziato a suonare e quale è stata la molla che ti ha spinto a farlo?

Sandro: Ciao e grazie per l'apprezzamento. Ho iniziato a suonare il piano spinto dai miei intorno agli 11 anni. Mi faceva cagare e lo vivevo come un obbligo, fingevo di leggere lo spartito ma per lo più cercavo di cavarmela ad orecchio. Dopo un paio d'anni sono riuscito a mollare il colpo e a prendere in mano la chitarra di mio fratello. Tra una scoppola e l'altra mi insegnava un po' di canzoni su richiesta e da lì mi sono appassionato, proseguendo da solo.  

Mr.Lp: Come nascono i Forty Winks? Come e dove vi siete conosciuti?

Sandro: Ho conosciuto Robbi ai concerti punk hardcore, dal '95 al '97 circa, frequentavamo pressapoco gli stessi posti, stessi festival e stesse trasferte. Entrambi andavamo in skate e ci coloravamo i capelli, io fumavo e lui no (incredibile), lui beveva e io no (incredibile). Io suonavo la chitarra e lui niente, quindi gli ho insegnato i rudimenti del basso e qualche pezzo su richiesta, come mio fratello fece con me. Poi si è perfezionato...con calma. Cristal e Salo erano a scuola con me. Del primo sapevo che era bravo a suonare la chitarra, anche se aveva un' Ibanez inguardabile color legno e il bulbo lungo. Al tempo si era molto intransigenti, i fricchettoni non ci facevano impazzire e ci eravamo ripromessi che saremmo riusciti a cambiarlo così abbiamo chiuso un occhio. Ora lui ha il bulbo corto e noi siamo tutti più fricchettoni. Salo era già perfetto. Adocchiato a una festa della scuola mentre suonava una cover di un gruppo punk in italiano con i mitici Beus, la band demenziale del liceo. Lo abbiamo rubato nel giro di qualche mese, correva l'anno 1998.


Mr.Lp: Avete un luogo (es: un locale o una sala prove…) al quale siete particolarmente legati e che ritenete un po' il vostro quartier generale?

Sandro: Beh all'inizio inizio suonavamo nel garage di Eva, un amico di scuola. Super attrezzato per l'epoca. Mi ricordo che puzzava di umido e che noi eravamo parecchio zappe a suonare. Poi siamo stati per un po' di anni a Scandellara dal mitico Pecos, lì abbiamo mosso i primi passi e abbiamo cominciato a girare e fare concerti. Dopodichè non ricordo esattamente quando (Salo, il notaio, è quello con la memoria più salda su date e aneddoti) abbiamo preso in affitto un ex studio di registrazione in centro a Bologna in via Nosadella. Assieme ad altre band (Fasthidio, Testa de Porcu) ci siamo divertiti per un po' di anni in quello che forse ad oggi è stato l'unico quartier generale vero e proprio mai avuto. Se solo quei muri potessero parlare! Poi ci siamo trasferiti alle sale Vecchio Son di Steno, e anche qui è stato un po' come essere a casa nostra. 


Mr.Lp: Mi sembra di capire dall’immagine pubblica del gruppo e dal tempo trascorso dall’uscita di “Forty Winks” a quella di “Bow Wow” che non badiate più di tanto alle logiche di mercato. Si percepisce una certa goliardia ed autenticità lontana dall’immaginario che spesso alcune band si costruiscono intorno alla propria musica. Credi che sia anche questo uno dei segreti della vostra longevità e forse anche l’inconsapevole formula del successo dei Forty Winks?


Sandro: Sì, devo dire che se un tempo, agli esordi, eravamo legati alla scena punk melodica di stampo californiano, nel giro di pochi anni abbiamo cominciato a spaziare senza troppe regole o logiche di mercato, facendo di questo aspetto la peculiarità del nostro suono. Per carità, niente strippi alla Naked City, ma l'idea che qualcuno non sappia cosa aspettarsi da un nostro disco ci stimola più che intimorirci. Non ci svolteremo ma intanto ci divertiamo. Quasi sempre.


Mr.Lp: Dal 2000 ad oggi avete consumato migliaia di km e calcato centinaia di palchi in Italia e all’estero. Ci puoi raccontare l’esperienza live o il tour che ricordi con più piacere?


Sandro: In questo momento ricordo con un po' di nostalgia il tour in Usa di dieci anni fa. Gli amici, gli itinerari senza senso e una certa spensieratezza legata al periodo che stavamo vivendo. Credo che a breve vedremo di replicare, magari con un tour di 10 giorni solo in California, appena possibile. Ovviamente senza spensieratezza e possibilmente con più disponibilità economica per acquistare la droga.


Mr.Lp: Il sound dei Forty Winks è secondo me riconoscibile in tutti i vostri album ma bisogna dire che, nonostante un certo suono delle chitarre, i dischi siano piuttosto differenti l’uno dall’altro. Puoi darci un’idea del vostro processo creativo, come nascono i pezzi?


Sandro: Di solito io arrivo in sala con dei giri di chitarra o delle melodie, poi lavoriamo alla struttura del pezzo e lo arrangiamo in maniera che "tutto torni". A volte chiudiamo un pezzo in una prova, a volte dopo 3 anni.

Mr.Lp: Ho rivolto la stessa domanda ad Olly nell’intervista precedente, perché hai deciso di scrivere i testi in inglese?


Sandro: Non è stata una scelta, sono cresciuto ascoltando band inglesi o americane, per me la musica era quella. Non ho mai pensato alle possibilità o agli intoppi che un paese come l'Italia avrebbe potuto creare, l'unica cosa che ci spingeva a scrivere dei pezzi era la musica che ci piaceva.


Mr.Lp: Poco dopo l’uscita di “Bow Wow” è uscito anche il video di *“beneath her feet” l’opener del disco, sicuramente ha un soggetto anomalo rispetto ad un classico videoclip musicale, ci racconti come è nato?


Sandro: Volevamo qualcosa di diverso, no playback (se non quell'abbozzo di cantato nella scena dello stupro di Salo alla fine...) e qualcosa che portasse in vita un immaginario un po' malato, come il sound del pezzo. Ne abbiamo parlato con i regaz di Opificio Ciclope che ci hanno capiti. Così siamo finiti nei boschetti fuori Bologna, per un tranquillo weekend di paura.


Mr.Lp: In Italia spesso chi campa di musica di un certo tipo raggiunge una certa indipendenza economica solo in età adulta, nei rari casi in cui succede. Ho sempre pensato che, se un disco come il vostro, citato nella mia breve introduzione, fosse uscito negli Stati Uniti o in altri paesi come Germania o Inghilterra, forse a quest’ora avreste potuto concentrarvi solo sul far musica senza dover pensare a sbarcare il lunario. Non ti capita mai di chiederti: " ma chi me lo fa fare"?


Sandro: Sì, spesso. Ma poi ci ridiamo sopra e ci rendiamo conto che solo il fatto di poter andare in giro a suonare è una gran fortuna che pochi hanno. Ok, così suona democristiano, ma ho volutamente omesso gli aspetti legati ai vizi..


Mr.Lp: Ecco il momento del domandone finale, il tormentone del blog…come ti vedi a 60 anni?


Sandro: Con pochi capelli e murato di tatuaggi, se possibile più sbiaditi di quanto non lo siano già ora.



FORTY WINKS: http://www.fortywinkslounge.com/                       https://www.facebook.com/fortywinkslounge?fref=ts

*“beneath her feet” 








domenica 7 luglio 2013

2.

Eccoci qua, è passato un po’ di tempo da quando abbiamo parlato con Mayo, da allora il blog ha raggiunto circa 600 visualizzazioni. Non sono un blogger o uno scrittore esperto e non so se sia cattiva creanza parlare delle visualizzazioni, ma devo dire in tutta onestà che sono sorpreso e non mi aspettavo tanto. Uno dei motivi principali è sicuramente dovuto al fatto che Mayo è un personaggio molto interessante e oltretutto è stato così gentile da segnalare l’intervista sui profili facebook delle bands in cui suona. Quindi grazie, a voi che leggete ed anche a lui. Detto questo spero che in parte il motivo sia dovuto anche al fatto che l’argomento trattato incuriosisca un po’ tutti gli appassionati di musica e che le domande possano differire da quelle che siamo normalmente abituati a leggere su riviste o fanzine varie… Perché? Beh, perché lo scopo del blog non è parlare dell’ultimo disco o dell’ultimo concerto (vi rimando al primo post nel caso siate dei nuovi lettori). Nella seconda intervista parlerò con Olly, una persona che, per chi è interessato al panorama musicale indipendente italiano, non credo abbia bisogno di troppe presentazioni. Come tutte le persone che compariranno in queste pagine, gode di tutta la mia stima... per quello che può valere.


Olly Riva è un produttore musicale, songwriter e musicista nato a Bergamo il 17 Novembre 1974 e ad oggi è stato:

Bassista dei Crummy Stuff nei primi anni ’90,


Cantante degli Shandon dal 1994 al 2004,


Cantante dei Furious Party nel 2000,


Cantante con i Goodfellas nel disco “Olly meets the Goodfellas” nel 2005, 


Cantante dei the Fire dal 2005 a oggi. 


È stato inoltre l'ideatore del progetto Punx Crew e partecipa attivamente all’ iniziativa umanitaria Rezophonic, non solo come cantante, ma anche come autore e produttore. In questo momento si sta cimentando in un nuovo progetto solista, Soul e R&Blues, la musica che amava da bambino. 


Mr.LowProfile: Ciao Olly, sei nato in un paese di provincia dove novità musicali e cultura underground non sempre arrivavano facilmente, specialmente prima dell’avvento di internet. Chi ti ha iniziato al rock, quali sono stati i tuoi primi ascolti e dove compravi i tuoi dischi? 

Olly: Mio padre è un musicista e a 5 mesi ero già sulle sue gambe mentre suonava il Soul col mitico Farfisa a 2 piani per cercare di farmi addormentare, invano ovviamente!! Fino ai 10, 11 anni il Soul e il R&Blues erano la mia colonna sonora ma non avevo mai comprato dischi. Poi mia cuggggina mi ha fatto scoprire 3 band che mi hanno cambiato la vita: i Queen, gli AC/DC e i Police. Ascoltavo i loro dischi a ripetizione appena potevo andare a casa sua. Poi lei ha cominciato a lavorare in un negozio di dischi e ho comprato la prima cassetta, quella di una band vista per caso su Deejay Television: gli Stray Cats. Da lì in poi è stata una ricerca continua di musica e artisti nuovi. A 16 anni conobbi Tiziano, un batterista di un paese vicino al mio, e iniziammo a suonare insieme, io voce e chitarra, lui alla batteria. Fu proprio lui a farmi scoprire il panorama underground del tempo, i Nirvana degli esordi, i Fuzztones, i Bad Religion etc etc… insomma mi aprì al dark, al punk, all’hardcore, al grunge, allo ska, etc etc… in seguito abbiamo iniziato a suonare insieme nei Crummy Stuff.

Mr.Lp: A che età hai iniziato a suonare e chi e cosa hanno portato nel 1994 alla formazione degli Shandon?

Olly: Ho iniziato nel 1989 ma con poco entusiasmo e senza nessuna meta, andavo troppo in skate e il resto non lo cagavo molto… poi dopo l’incontro con Tiziano, (vedi sopra n.d.r.) la passione per lo skate lasciò il posto alla chitarra. Gli Shandon nacquero nel ‘94 come formazione Punk per un breve periodo, poi si sciolsero. In quel periodo ero entrato a far parte di alcuni gruppi tra cui gli Shaa. Fu proprio col bassista degli Shaa,  Andrea, che parlai della mia voglia di lasciare il gruppo per riformare gli Shandon ma in una nuova veste,  più aperta alla musica e meno al punk. Lui accolse l’idea e insieme riformammo gli Shandon suonando ska, punk, hardcore, metal, surf garage… insomma tutto quello che ci andava di suonare senza pippe di genere o di contesto, cosa che ci è stata spesso criticata dal pubblico che odiava gli Shandon. Ma noi ci sentivamo liberi e ce ne sbattevamo.

Mr.Lp: In 10 anni di Shandon hai avuto l’occasione di suonare con la maggior parte delle band ska (...e non solo...) più famose al mondo (Rancid, the Mighty Mighty Bosstones, Reel Big Fish, Goldfinger, the Offspring ecc… ), con quale band hai provato più emozioni a suonare? Hai qualche aneddoto divertente o curioso da raccontarci a riguardo?

Olly: Con i Rancid è stato terribile! Subito dopo il nostro show ci sbatterono letteralmente fuori dal locale, con assurde motivazioni, per lasciare spazio ai Rancid che invece erano stati gentilissimi e di certo non avevano mai fatto richiesta di volerci fuori dalle palle, anzi. Gli organizzatori dell’epoca invece si comportarono di merda con noi. In seguito facemmo il festival TVOR a Bologna con Pennywise, Turmoil, Snapcase etc etc… in quell’occasione Fletcher dei Pennywise durante “Bro hymn” mi mise addosso la sua chitarra e mi disse “suonala tu”… assurdo!!! Ma sicuramente le emozioni più forti le ho provate nelle date con gli Offspring davanti a una valanga di gente. Noi eravamo abituati ai centri sociali o a locali con poche persone davanti, lì avevamo davanti un pubblico di 6/7 mila persone che probabilmente, prima di sentirci suonare, pensava “ma chi cazzo sono questi”??!! Gli Offspring sono stati molto disponibili con noi, grandi persone che non si atteggiavano a superstar e che solo 3 anni prima avevo visto come spalla ai NOFX, in un locale con circa 300 persone davanti.

Mr.Lp: Rispetto agli anni novanta il mercato musicale è molto cambiato, sicuramente allora si vendevano più dischi e la gente andava più volentieri a vedere i concerti. Ma, se vogliamo trovare un lato positivo, a mio parere l’aumento delle autoproduzioni a causa dell’abbattimento dei costi ha permesso a molte band di nascere ed esprimersi con meno difficoltà, per non parlare della promozione mediatica oramai quasi esclusivamente affidata alla rete e ai social network gestibili direttamente dai musicisti stessi. Quali sono a tuo parere i lati positivi e negativi di questa evoluzione naturale del mercato?

Olly: Discorso interminabile direi. Si, è vero che i social ti danno spazio, ma è anche vero che creano caos: troppe band, troppi artisti, troppa musica, troppa scelta e quindi le tue orecchie non capiscono più cos’è vero e cosa no, cos’è di qualità e cosa invece è fatto solo col computer, chi è davvero un artista e chi invece è solo molto bravo a spacciarsi come tale. Con l’andare del tempo le orecchie e gli occhi si disabituano a percepire cosa è realmente bello e sincero. Il non avere tutto a disposizione, a differenza di oggi  che siamo letteralmente bombardati, implicava una curiosità, una passione e una voglia di ricercare che si sono andate spegnendo.

Mr.Lp: Lo ska e i suoi derivati sembrano ormai passati di moda, specialmente nel bel paese dove è prevalentemente rappresentato da bands ormai formatesi da almeno 20 anni, come mai secondo te?


Olly: Non saprei, non ho mai amato lo ska fino in fondo. Ero un fan di alcune band ma non di tutto il genere, io sono fatto cosi, non vedo limiti musicali e quindi mi innamoro solo di quello che mi arriva più vicino come intenzione, gusto, scelte artistiche e sonorità. Le menate di scena musicale o di voler esser parte di un movimento, punk, ska, rockabilly, skin, metal o qualunque esso sia, non fanno per me. Amo moltissimo la musica, non necessariamente il genere in cui si colloca. Di conseguenza, se un genere tende a perdere luce non me ne accorgo a meno che le band che mi piacciono svaniscano.

Mr.Lp: Assieme ai the Fire, la tua band attuale, avete avuto l’occasione di aprire le date del tour dei Gotthard. Che differenze hai trovato tra l’ambiente musicale live italiano e quello estero a livello di professionalità e di pubblico?

Olly: I Gotthard sono enormi in Svizzera e in Germania, hanno un pubblico assurdo e incredibilmente eterogeneo, dai 5 ai 70 anni. Pazzesco!! È un pubblico, quindi, non di nicchia e più interessato al divertimento. Insomma un pubblico meno attento alla musica underground ma molto vivo. Ci siamo trovati benissimo e non siamo mai stati criticati negativamente. Insomma una grande esperienza in un contesto molto lontano dal nostro e ad alti livelli qualitativi. In Germania abbiamo suonato allo stadio di Monaco con i Kaiser Chief e il pubblico, nonostante il freddo, è stato fantastico. Al Pukklepop in Belgio abbiamo suonato davanti a 4mila persone in un festival da 60mila al giorno con Fall out boy, Soulfly, Iggy Pop e Gogol Bordello. In generale, ogni nazione vive la musica live in maniera diversa, quindi dire che all’estero è tutto meglio è sbagliato. E’ vero pure che in alcune nazioni i concerti sono il sale dell’intrattenimento mentre qui in Italia ci si lamenta per un biglietto da 10€ e poi se ne spendono 50€ al Pub sentendo musica diffusa e per di più di bassa qualità.

Mr.Lp: Sempre con i The Fire hai deciso di scrivere i testi in inglese: cosa significa cantare in inglese in Italia? 

Olly: Credo che un certo tipo di rock in Italiano diventi ridicolo, ma solo per questioni fonetiche, non di contenuto. Ho provato a scrivere testi in Italiano per i Fire ma mi suonava sempre poco credibile. Un cantante che si vuole esprimere tecnicamente con l’Italiano ha grossi freni legati alle vocali aperte o alle parole troppo lunghe. Per il resto l’inglese aiuta a sconfinare da questo paese arido e cocciuto. Ho sempre visto il confine svizzero come una meta da superare e l’inglese mi ha aiutato a farlo. 

Mr.Lp: Oltre ad essere musicista e songwriter sei anche un produttore musicale. Hai lavorato con gruppi affermati e datati come gli STP e anche con realtà emergenti. Da tempo inoltre lavori con i Rezophonic, progetto musicale di Mario Riso che raccoglie diversi musicisti allo scopo di costruire pozzi e scuole in Africa. Che soddisfazioni e quali difficoltà si incontrano nel produrre e nel confrontarsi con musicisti e idee altrui?

Olly: Le difficoltà sono legate al fatto che ti viene dato il privilegio di toccare e plasmare la musica di un altro ed è sempre una cosa delicata. La musica non è razionale e per di più è personale al 100%. Ogni cambiamento va spiegato, capito e accettato da chi scrive e da chi suona. Negli anni credo di aver trovato il mio modo di affrontare questa visione d’insieme e per mia fortuna i musicisti a oggi non si sono mai lamentati hehehe… Pino Scotto per esempio è uno che ti dà carta bianca. Ha una cultura musicale vastissima, ti rispetta molto ma sa quello che vuole ed è un attento ascoltatore: capisce il dettaglio e il suo carisma, oltre alla sua voce, permea tutto ciò che fa. Mi sento quindi di dissentire con quelli che pensano che Pino sia solo un fenomeno televisivo. 

Mr.Lp: Grazie alla tua esperienza di produttore e quella ventennale di cantante hai avuto modo di conoscere tantissimi musicisti e realtà differenti. Cosa ti sentiresti di consigliare ad un ragazzo che si appresta oggi nel 2013 a formare una band?

Olly: Di non nascondersi dietro al mondo digitale dove tutto si può correggere e sistemare. Di imparare a suonare con volontà e sincerità, cambiando anche strada quando ci si accorge di non aver talento. Non voglio fare lo stronzo, ma suonare ormai sembra una cosa che può fare chiunque. E  le parole di Sid Vicius, secondo cui basta imparare due accordi per formare una band, appaiono oggi come una verità assoluta, per alcuni ovviamente. Beh, i tempi sono cambiati: se non sai suonare datti al pattinaggio, se non sai cantare non ti ostinare a diventare qualcuno:  fallo in camera tua!!! Mi spiace rovinare l’idea comune per cui la musica è per tutti… Non tutti possono dipingere o scrivere ma invece sembra che tutti possano suonare. Basta con questa ipocrisia! Cercate il vostro talento e coltivatelo non saturate un ambiente già schifosamente stuprato.

Mr.Lp: Cosa ti spinge a continuare a suonare nonostante le tante difficoltà legate alla realtà nazionale musicale e non?

Olly: Il mio è un bisogno fisico e mentale, è creatività, è entusiasmo, voglia di esprimersi, voglia di sentirsi a disagio e allo stesso tempo in uno stato di grazia. Non potrei smettere come quando smetti di fumare o di vestirti in un certo modo. Poi magari un giorno smetterò di rompermi il cazzo a contattare i locali per suonare in giro e la smetterò di fare in modo che i miei dischi escano, ma credo che nessuno mi farà smettere di vedere la musica come mio unico fattore vitale. 

Mr.Lp: Ogni intervista finirà con questa domanda imbarazzante, come ti vedi a 60 anni?

Olly: Senza pensione e con la casa piena di dischi.




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